I "Fioretti" di Eliseo


Anche il profeta Eliseo quel giorno s’era trovato come Gesù: aveva di fronte una piccola folla da sfamare e dispombili erano solo 20 pani d’orzo e farro. Sappiamo come andò a finire dalla prima lettura della Messa di questa domenica.
Il nome cli questo profeta era, comunque, già un augurio: “Dio ha aiutato”.
La sua storia era, però, cominciata anni prima, nella seconda metà del IX secolo a.C., mentre stava arando il campo di suo padre Safat con 12 paia di buoi: era, quindi, un contadino benestante. Sulla strada che costeggiava il campo era passato Ella, il celebre profeta, che, con ungesto a sorpresa, gli aveva messo sulle spalle il suo mantello: era un’investitura profetica ufficiale (IRe 19,19-2 1).

Salutati i parenti con un pasto d’addio allestito attraverso la macellazione di un paio di quei buoi, Eliseo s’era messo alla sequela di Ella e aveva assistito alla sua misteriosa fine nei cieli che erano sopra il Giordano, su un carro di fuoco.
E ancora una volta il mantello, caduto a Elia, era stato il segno che ora toccava a lui continuare l’opera del maestro. Egli l’aveva fatto, da un lato, con una serie di miracoli e, dall’altro, intervenendo attivamente nella vita pubblica piuttosto turbolenta di allora.

Aveva reso potabili le acque della sorgente principale di Gerico; aveva atterrito tutti vendicando l’offesa di alcuni ragazzini che scherzavano sulla sua testa pelata, facendo piombare loro addosso due orse affamate; aveva moltiplicato l’olio di una povera vedova e fatto risorgere il figlio di una donna che lo ospitava spesso; aveva impedito che un gruppo di discepoli finisse avvelenato per una minestra con vegetali pericolosi e, come si è visto, aveva moltiplicato anche i pani... Certo, le pagine del secondo Libro dei Re, che narrano le avventure di Eliseo (dal capitolo 2 al 13) e che sono tutte da leggere perché deliziose, sono spesso segnate dal gusto del meraviglioso e dell’eccesso prodigioso, come se fossero un libro di “fioretti” miracolosi.

L’episodio più interessante è certamente quello della guarigione del comandante dell’esercito siro, il generale Naaman, colpito dalla lebbra. Il rito di purificazione nel Giordano porterà quest’uomo a convertirsi alla fede ebraica e a praticare il culto al Signore anche a Damasco su un lembo di terra portata dal suo viaggio in Israele. Era, quindi, il segno di un primo universalismo che vedeva anche un pagano entrare, sia pure indirettamente, nel popoio dell’elezione divina.
È in quell’occasione che, invece, farà una meschina figura il segretario di Eliseo, Ghecazi, tentato dalla cupidigia: si era fatto versare da Naaman un obolo enorme contro la volontà del profeta, col risultato però di essere lui infettato dalla lebbra.

Si legga il capitolo 5 del secondo Libro dei Re per seguire dal vivo questo racconto esemplare di salvezza fisica e spirituale e di giudizio.
Ma, come si diceva, Eliseo fu coinvolto nella politica di quel tempo.
Fu lui ad avallare con la sua autorità morale e la sua benedizione il colpo di stato di un generale, Ieu, contro il re Acab e la regina Gezabele, che avevano perseguitato il profeta Ella, il maestro di Eliseo.

Quell’evento, però, era sfociato in un massacro terribile che il profeta implicitamente aveva provato (2Re 9-10). Eliseo ebbe contatti con gli altri sovrani del regno settentrionale di Israele e persino coi re della Siria, ove era rispettato e temuto. E poco prima di morire, al re loas che lo visitava fece compiere un curioso gesto simbolico invitandolo a scoccare tre frecce.
Era un ultimo oracolo profetico-politico che annunziava tre vittorie di Israele sulla Siria (2Re 13,14-21).