Samuele: il profeta che consacrò due re.


Siamo nell’antico santuario di Israele, collocato al centro della terra promessa, nella città di Silo. Là è custodita l’Arca dell’alleanza, che aveva accompagnato il popolo ebraico nella marcia dell’esodo dall’Egitto. È notte fonda. Un ragazzo sta dormendo in una delle stanze adiacenti al tempio. All’improvviso una voce lo scuote: «Samuele!». Sarà proprio a causa di quella voce che lo chiama per quattro volte che la storia di quel ragazzo diventerà capitale per tutto Israele, al punto tale che le sue vicende e quelle successive saranno narrate da due libri biblici che porteranno il suo nome. Tutto era cominciato anni prima di quella notte, la cui trama di eventi è raccontata proprio nella prima lettura della liturgia di questa domenica. Al santuario, ove ora Samuele dialoga con Dio, era giunta una donna, Anna, sconfortata perla sua sterilità. Essa si era sfogata in silenzio davanti al Signore e aveva ricevuto la grazia tanto attesa, quella appunto di un figlio. Era, così, nato Samuele e questo nome l’aveva voluto proprio lei, Anna, che l’aveva interpretato in modo un po’ libero come “implorato da Dio”, ricordando la preghiera di quel giorno (in realtà, in ebraico, significa: “il suo nome è Dio”).

Il fanciullo era stato consacrato a quel Dio che l’aveva donato. Cresciuto, era diventato per eccellenza la voce del Signore, cioè il suo profeta, in un momento drammatico per Israele. I Filistei, popolo vicino e potente, stavano per piegare la nazione ebraica: persino l’Arca dell’alleanza, il segno della presenza divina, era stata catturata da quella popolazione che aveva armi sofisticate, perché sapeva lavorare il ferro, e che proveniva forse dalla Grecia o da Creta.

Era toccato a Samuele, ascoltando senza molta convinzione le richieste degli Israeliti, scegliere e consacrare il primo re ebraico, Saul, un uomo gigantesco che ben presto si era rivelato molto indipendente e persino contestatore nei confronti di Samuele, avviandosi così — dopo i primi successi militari — a un declino tragico, consumato dalla follia e approdato al suicidio sui campi di battaglia contro i Filistei.

Ma già prima, Samuele era partito col corno pieno dell’olio sacro per consacrare un altro re. S’era diretto in un modesto villaggio della Giudea, Betlemme, e là aveva unto come sovrano un giovinetto «fulvo, con begli occhi e gentile di aspetto», il più piccolo degli Otto figli di un pastore di nome Jesse. Era, così, entrato in scena, per merito di Samuele, Davide. Ma per il profeta stava ormai per giungere il tramonto.

Lui che si era opposto a viso aperto al re infedele, Saul, costringendolo a riconoscere i suoi errori, si avviava alla morte senza riuscire a vedere il trionfo del nuovo eletto, Davide, costretto a vivere alla macchia per evitare la caccia spietata che Saul gli riservava. La Bibbia semplicemente annota: «Samuele morì e tutto Israele si radunò e lo pianse. Lo seppellirono presso la sua casa, a Rama» (1 Samuele 25,1).