Eleazaro, fedele fino alla morte


In questa domenica si leva solenne, al centro della liturgia, la croce di Cristo. Certo, è uno dei grandi segni di salvezza e di gloria per il credente, ma è anche l’emblema di una violenza, è la rappresentazione di tutta quella schiera immensa di vittime che ha popolato la storia. La scrittrice Natalia Ginzburg aveva dichiarato: «È là, muto e silenzioso. C’è stato sempre. È il segno del dolore umano, della solitudine, della morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro destino.
Il crocifisso fa parte della storia del mondo». Sulla scia di questa immagine altissima di martirio noi faremo ora entrare nella nostra galleria di ritratti biblici la figura di un martire ebreo, la cui morte esemplare è descritta nel capitolo 6 del secondo Libro dei Maccabei.

Sappiamo che i discendenti dei generali di Alessandro Magno s’erano spartiti l’immenso impero che quel giovane re aveva costruito in pochi anni. Dopo alterne vicende, nel I! secolo a.C. la Terrasanta era tenuta sotto il ferreo controllo dei Seleucidi, i regnanti greci di Siria, che avevano imposto agli Ebrei un’ellenizzazione forzata, costringendoli ad abbandonare le tradizioni dei padri. Era scattata, allora, una rivolta capeggiata da Giuda Maccabeo, un eroe ebreo.

È appunto in occasione di questa ribellione sedata nel sangue dal re seleucida Antioco W, che appare la figura del nostro martire.
Il suo nome era Eleazaro, in ebraico “Dio ha aiutato”, nome portato in passato dal terzo figlio di Aronne e suo successore nella carica di sommo sacerdote al tempo della marcia di Israele nel deserto, nell’esodo dall’Egitto (Numeri 20,23-29). Anche un fratello di Giuda Maccabeo, il capo della rivoluzione ebraica, si chiamava Eleazaro (iMaccabei 2,5), come pure un generale del re Davide, secoli prima (2Samuele 23,9).

Il nostro Eleazaro era, invece, uno scriba, cioè uno studioso della legge biblica, molto apprezzato. Egli era «già avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto della persona».

I siroellenisti, volendo col suo esempio così autorevole piegare altri Ebrei ai costumi pagani, tentarono di costringerlo a cibarsi di carne suina, violando una delle più note norme alimentari bibliche. Si legge, infatti, nel libro del Levitico: «Non mangerete il porco..., Io considererete immondo» (Levitico 11,7). Anche se il divieto aveva arcaiche origini di indole sanitaria, esso era diventato un precetto religioso e quindi la sua violazione costituiva un atto di apostasia e di infedeltà. La reazione di Eleazaro fu netta: sputò il boccone che forzatamente gli avevano messo in bocca.

Entrarono in azione, allora, alcuni Ebrei collaborazionisti che con lusinghe e allettamenti cercarono di piegare la resistenza dell’anziano scriba. Ma egli replicò a loro con un nobile discorso nel quale esaltava il carattere embiematico della sua obiezione di coscienza: se avesse ceduto lui, ormai novantenne, come si sarebbero comportati i giovani? Avrebbero accondisceso ad abbandonare le tradizioni dei padri senza nessuna esitazione.

Giunse, allora, il verdetto definitivo e, mentre si procedeva all’esecuzione capitale, Eleazaro dichiarava: «11 Signore, cui appartiene la sacra scienza, sa bene che, potendo sfuggire alla morte, soffro nel corpo atroci dolori sotto i flagelli, ma nell’anima sopporto volentieri tutto questo per il timore di lui» (6,30). Al di là dell’oggetto in sé, la sua obiezione di coscienza rimane un modello di fedeltà e coerenza.