L'autore della lettera di Giacomo


Si inizia a leggere in questa domenica, come seconda lettura della liturgia eucaristica, la Lettera di Giacomo, la cui intestazione rimanda a «Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo» (1,1). Lettera curiosa, questa di Giacomo, perché da un lato sembra essere una predica destinata a una comunità giudeo-cristiana (ottima è la conoscenza dell’Antico Testamento) e dall’altro si rivela scritta in un greco elegante, con allusioni alla cultura ellenistica e a certe forme letterarie della filosofia stoica.

Ma la questione più enigmatica è proprio quella che riguarda il suo autore. Nel Nuovo Testamento infatti ci imbattiamo in almeno quattro figure che portano il nome Giacomo. C’è innanzitutto il più famoso Giacomo, apostolo di Cristo, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni, altro apostolo celebre. Lo vediamo con Pietro e Giovanni come testimone dei momenti più alti della vita di Gesù, fino all’agonia nell’orto del Getsemani. Stando a una notizia degli Atti degli Apostoli (12,1-2), egli sarebbe stato ucciso di spada dal re Erode Agrippa I attorno al 44.

C’è, poi, un altro apostolo di nome Giacomo, figlio di Alfeo, menzionato negli elenchi dei Dodici. Facciamo poi seguire un certo “Giacomo il minore” — da alcuni identfficato col precedente — e che è indicato come figlio di una Maria, posta tra le donne spettatrici della morte di Gesù e testimoni della sua risurrezione, una donna chiamata appunto «Maria di Giacomo» (Marco 15,40 e 16,1)0 anche «l’altra Maria» (Matteo 28,1). Infine, c’è un quarto Giacomo, «fratello del Signore» (Marco 6,3), cioè appartenente al dan nazaretano di Gesù. Egli fu uno dei responsabili della prima comunità cristiana di Gerusalemme, evocato anche da san Paolo nelle sue Lettere ai Corinzi (1,15,7) e ai Galati (capitoli 1-2).

Di fronte a questa abbondanza di Giacomo — i due apostoli, il “minore” e il «fratello del Signore» — chi dobbiamo scegliere come autore di questa lettera così vivace e appassionata? Nella titolatura tradizionale della lettura liturgica si ha: «Dalla Lettera di san Giacomo apostolo». È evidente che si vuole adottare la prassi per cui si attribuivano a figure alte opere anche posteriori: pensiamo, ad esempio, all’assegnazione a Salomone (X secolo a.C.) del libro della Sapienza che è stato scritto in greco nel I secolo a.C.! Anche in questo caso si è ricorsi probabilmente all’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, o a Giacomo Alfeo, come a figure eminenti e come a uno pseudonimo nobile.

La controprova la si ha proprio nel titolo da noi sopra citato: è strano, infatti, che non si faccia menzione della dignità di apostolo dell’autore, ma ci si accontenti di un modesto «servo di Dio e del Signore». Similmente è difficile che l’autore sia il Giacomo «fratello del Signore», proprio perla stessa assenza di un titolo così prestigioso e della sua funzione di capo della Chiesa di. Gerusalemme. E allora? Gli studiosi moderni sono orientati a pensare a un anonimo maestro giudeo-cristiano, rivestito del manto apostolico secondo quella prassi dell’attribuzione a cui sopra si accennava. Avremmo, così, una sorta di quinto Giacomo neotestamentario! Un nome, dunque, tanto popolare a quei tempi (e anche in seguito) per la ragione molto semplice che era una riedizione del celebre nome ebraico del patriarca Giacobbe del libro della Genesi.