BARTOLOMEO DAI MOLTI VOLTI


Il 24 agosto il calendario segnala la festa di San Bartolomeo apostolo, anche se quest’anno la domenica ha la prevalenza su questo ricordo.

Noi, però, cercheremo di far emergere dal quasi anonimato questo discepolo di Cristo che in pratica appare solo nella lista dei dodici apostoli («...Filippo e Bartolomeo...», Matteo 10,3) e che poi tace e scompare in tutto il resto dei vangeli. Avremmo di lui in pratica solo il nome (o cognome) che in aramaico significa “figlio di Tolmai”, deformazione del greco Tolomeo.

A questo punto dovremmo finire qui il nostro ritratto di Bartolomeo.
Oppure ricorrere alle leggende posteriori che lo fanno diventare lo sposo delle nozze miracolose di Cana e che lo indicano come missionario in India e Armenia, ove verrà martirizzato in quel modo così macabro da aver sollecitato la curiosità un po’ perversa degli artisti: sarebbe stato, infatti, scuoiato vivo, e basta solo entrare nel Duomo di Milano per vedere la statua scolpita da Marco d’Agrate (XVI sec.), col santo che regge in spalla la sua pelle scorticata (per questo il simbolo di Bartolomeo è il coltello).

In realtà, molti hanno pensato che Bartolomeo sia da identificare con un altro personaggio che entra in scena nel vangelo di Giovanni, un certo Natanaele da Cana (1,43-51 e 21,2). È vero che questo nome significa in ebraico “Dio ha dato” ed è simile a quello di Matteo che significa in aramaico “Il Signore ha dato”. Tuttavia potrebbe trattarsi di qualcosa di simile a quello che nei Vangeli accade proprio a Matteo chiamato anche Levi o a Giuda Taddeo, cioè a un nome, Natanaele, e a una specie di cognome, Bartolomeo.

La vicenda di Natanaele è, dunque, questa. Egli incontra Filippo di Betsaida che ha appena conosciuto Gesù e che gli dice entusiasta: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret». Sferzante è la replica ironica di Natanaele: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?».

Ma Filippo insiste ed ecco l’incontro. Da lontano Gesù vede avanzare Natanaele e stupisce gli astanti con uno strano elogio: «Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità!».

Ma ancor più stupito è Natanaele che si sente dire: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico».

Al di là del tema della conoscenza soprannaturale intima di uomini ed eventi, tipica del Cristo del quarto Vangelo, alcuni pensano che con questa indicazione si alluda a Natanaele come a uno scriba di professione: questi maestridi Israele spesso si fermavano a insegnare sotto alberi frondosi, circondati dal loro uditorio.
Sta di fatto che quell’uomo rimane sconcertato e subito esclama: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!».

È Gesù a rivelare ora una punta di stupore ironico: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!». E aggiunge una frase a prima vista enigmatica rivolta a tutti i presenti: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo». Gesù allude al celebre sogno di Giacobbe: una scala collegava terra e cielo e su di essa salivano e scendevano gli angeli (Genesi 28,12).

Ma contemporaneamente si ha un rimando all’esaltazione in croce del Cristo sofferente e glorioso. Dirà, infatti, lo stesso Gesù: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Giovanni 12,32). Bartolomeo-Natanaele è, dunque, invitato a guardare già alla Pasqua di Cristo.