Barnaba, figlio dell'esortazione


«Paolo, venuto a Gerusalemme, cecava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo. Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù».

Inizia così il brano degli Atti degli Apostoli (9,26-31) che verrà proclamato come prima lettura in questa domenica. A emergere in primo piano, oltre a Paolo neo-convertito, c’è la figura di cui ora vorremmo tracciare un ritratto essenziale, Barnaba.

In realtà, questo era un soprannome che gli Atti degli Apostoli (4,36) interpretano come “figlio dell’esortazione”, anche se forse il suo significato originario era pagano e babilonese, “figlio del dio Nabu” (lo stesso dio presente nel nome del re Nabucodonosor). Il suo vero nome era, però, Giuseppe ed era un levita di origine cipriota. Il primo suo atto, ricordato sempre dal libro degli Atti, era stato un gesto di generosità per i fratelli più poveri: «Egli era padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò l’importo deponendolo ai piedi degli apostoli» (4,37). Veniva, così, incontro alla scelta della comunità cristiana di Genisalemme, quella cioè della condivisione totale dei beni.

La svolta della sua esperienza cristiana avvenne, però, soprattutto col suo incontro con Paolo. Inviato come delegato della Chiesa-madre di Gerusalemme ad Antiochia per verificare il nuovo metodo pastorale ivi praticato, aperto anche ai pagani, Barnaba, «da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, si rallegrò ed esortava tutti a perseverare con cuore risoluto nel Signore» (Atti 11,23-24: si noti l’allusione al suo soprannome nella menzione della sua “esortazione”). Egli, allora, «partì alla volta di Tarso per cercare Saulo e, trovatolo, lo condusse ad Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella comunità e istruirono molta gente e ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani» (11,25-26).

Da quel momento i due procederanno insieme, tenendo i rapporti con Gerusalemme, anche quando la questione dell’ingresso diretto dei pagani nel cristianesimo, senza un previo passaggio attraverso il giudaismo e le sue osservanze, aveva creato discussioni, tant’è vero che si era deciso di indire un “concilio” proprio nella città santa. 11 decreto di quell’assise, sostanzialmente favorevole alla prassi “aperturista” seguita da Paolo e da Barnaba, fu portato e comunicato ad Antiochia, proprio da loro e da altri due delegati, Giuda Barsabba e Sila-Silvano (15,22). È da ricordare che allora Antiochia di Siria (ora in Turchia) era una metropoli cosmopolita con una presenza viva dei cristiani, come sopra si è detto.

Venne, però, anche il momento della tensione con Paolo. Erano in procinto di partire per il secondo grande viaggio missionario e «Bamaba voleva prendere insieme anche Giovanni, detto Marco», probabilmente il futuro evangelista.

Ma Paolo non ne condivideva la scelta perché lo riteneva incostante. «Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro e Paolo scelse invece Sila-Silvano e partì» (15, 3 7-40).
Come si vede, anche nella gloriosa Chiesa delle origini non mancavano difficoltà e punti di vista differenti. Paolo, però, ricorderà con ammirazione il suo antico collega scrivendo ai Corinzi (I, 9,6).