Elia, il profeta rapito in cielo


L' ascensione di Cristo al cielo ha un’anticipazione nella vicenda finale di un personaggio celebre dell’Antico Testamento, il profeta Elia. Egli era entrato in scena all’improvviso, solo con la sua parola, l’arma che egli impugnerà. Infatti quella sorta di libretto che racconta la sua storia, e che è presente a partire dal capitolo 17 del primo Libro dei Re fino al capitolo 2 del secondo Libro dei Re, si apre semplicemente così: «Elia, il Tisbita, uno degli abitanti di Galaad, disse ad Acab: Per la vita del Signore Dio di Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà nè rugiada nè pioggia, se non quandolo dirò io» (17,1).

Contro il potere corrotto e violento di questo re, Elia, originario della Transgiordania, si ergerà armato della sola parola divina e per lui mizierà una vita di scontri, di incubi e persino di fuga. Ma egli non tacerà mai. Sfiderà sul monte Carmelo i sacerdoti del culto pagano introdotto dal re su sollecitazione dell’influente moglie fenicia Gezabele, un culto legato a Baal, il dio della fecondità (capitolo 18). Sfiderà la stessa coppia reale che aveva usurpato il terreno di un contadino, Nabot, facendolo condannare a morte con un processo-farsa (capitolo 21). Sfiderà i falsi profeti, succubi del regime, ma sarà pronto a venir incontro alla sofferenza e alla miseria di una povera vedova, con una serie di miracoli clamorosi (17, 7-24).

La lettura delle pagine bibliche sopra citate — simili spesso a un libro di “Fioretti” del primo dei grandi profeti — potrà rendere più vivo e colorito il volto di Elia, peraltro tanto amato dalla storia dell’arte, della musica (l’Elias di Felix Mendelssohn-Bartholdy, 1847) e della letteratura (il dramma Elija di Martin Buber, 1963). Noi ci accontentiamo ora di evocare due momenti della sua vita. Il primo è da collocare in una delle fasi più tragiche, quando l’implacabile regina Gezabele cerca a tutti i costi di eliminarlo.
Il profeta si rifugia al sud, nelle aspre solitudini del deserto sinaitico, e la sua fuga disperata (cerca persino di lasciarsi morire sotto un ginepro, mentre il sole incandescente lo consuma) si trasforma in un pellegrinaggio alle sorgenti della fede biblica.

Infatti egli sale sull’Horeb-Sinai e là riceve una nuova vocazione attraverso un’epifania divina sorprendente.
Dio non gli appare né nel vento gagliardo che spacca le rocce, nè nel terremoto che sommuove il deserto e neppure nelle folgori di una tempesta. Il Signore si presenta, invece, come dice il testo ebraico, in una qòl demamah daqqah, che letteralmente significa «una voce di silenzio sottile» (19,12). Ella, che aveva pensato sempre a un Dio potente e battagliero, deve imparare che il mistero divino si annida anche nella quiete, nel silenzio, nella pace.

Ritornerà, dopo questo incontro, per continuare la sua missione solitaria in Israele. Ma quel Dio che l’aveva lanciato in un’avventura così drammatica non lo abbandonerà più, neppure nell’istante estremo della morte. Attraversato il Giordano, le cui acque si aprono davanti a lui come era accaduto a Israele al tempo dell’ingresso nella terra promessa, Elia è catturato da un cocchio di fuoco, tirato da cavalli di fuoco, e, davanti al discepolo Eliseo, entra nell’infinito di quel Dio che aveva servito con passione, scomparendo nella fiamma e nel cielo. Sulla terra resterà il suo mantello, destinato a Eliseo in segno d’investitura.
Sei secoli dopo, nel Il secolo a.C., un sapiente biblico, il Siracide, lo canterà così: «Sorse Elia profeta, simile al fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola...» (48,1).