Michea, un contadino prestato alla profezia


Era nato nel villaggio agricolo di Moreset, a 35 chilometri a sud-ovest di Gerusalemme, e il suo nome conteneva in ebraico una domanda retorica che si trasformava in una professione di fede: “Chi è come il Signore?”. Michea fu, quindi, un contadino prestato alla profezia. Visse al tempo di Isaia, di cui fu forse discepolo se è vero che in una sua pagina (4,1-3) cita uno splendido inno a Sion, città di pace, presente nel libro del grande maestro (2,2-5). Le sue immagini — come era accaduto a un altro profeta contadino, Amos, di poco a lui anteriore — sono rudi e vigorose, colpiscono con sdegno quasi nauseato lo sfruttamento e i soprusi nei confronti dei semplici cittadini e della gente dei campi.

Egli grida anche contro i falsi profeti, accomunandoli alle classi dominanti corrotte: «Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono... Divorano la carne del mio popolo, gli strappano la pelle di dosso, ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi come carne in una pentola, come lesso in una caldaia... I loro profeti fanno traviare il mio popoio, annunziano la pace solo se hanno qualcosa da mordere sotto i denti; ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano la guerra» (2,2; 3,3.5). È, perciò, inevitabile che il Signore della giustizia, sfidato da questi lugubri individui, entri in scena col suo giudizio.

Dio era già apparso all’orizzonte di Samaria, la capitale del regno settentrionale di Israele, colma di vergogne e ingiustizie, denunziate a suo tempo da Amos. Michea ritrae il collo di quella città elegante e gaudente sotto l’urto delle armate del re assiro Sargon Il nel 721 a.C.: «Ridurrà Samaria a un mucchio di rovine in un campo, rotolerà le sue pietre nella valle, frantumerò tutte le sue statue e dei suoi idoli farò scempio» (1,6-7). Anche a Gerusalemme i! Signore riserverà la stessa sorte: «Sion sarà arata come un campo e Gerusalemme diverrà un mucchio di rovine, il monte del tempio un’altura selvosa» (3,12).

Per sfuggire a questo destino non bastano riti e preghiere prive di coerenza con la vita, cioè senza la giustizia: «Con che cosa mi presenterà al Signore? Mi presenterà a lui con olocausti e con vitellidi un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio a miriadi? Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede da te il Signore: praticarela giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (6,6-8).

Ma i cristiani ricordano Michea soprattutto per un suo annunzio messianico, quello che è proposto proprio oggi come prima lettura nella liturgia domenicale e che ben s’adatta agli imminenti giorni natalizi: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che dev’essere il dominatore in Israele... Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà... Egli starà là e pascerà con la forza e la maestà del Signore» (5,1-3). Queste parole del colono di Moreset risuoneranno sette secoli dopo, con una nuova luce, all’interno di un palazzo di Gerusalemme, alle orecchie di un re perverso, Erode (Matteo 2,6). Ma da allora risuoneranno anche per tutti i giusti come messaggio di speranzaedi gioia.