STRANIERI E PELLEGRINI DI PACE
 
 
Fu per noi un freddo avvento / per un viaggio lungo come questo. / La strada fangosa... / e i cammelli pustolosi, i piedi sanguinanti. / ...Vi furono momenti in cui rimpiangemmo / i palazzi d’estate sui pendii, i terrazzi, le seriche fanciulle che portavano i sorbetti... ». Così immaginava il viaggio dei Magi il poeta angio-americano Thomas S. Eliot in un testo del 1927.

Così lo dipingevano già secoli prima i vangeli apocrifi; così l’ha rappresentato Ermanno Olmi nel suo film Cammina cammina (1983).

Ma la liturgia e la teologia hanno preferito pensare, per cogliere l’anima profonda di quel viaggio-pellegrinaggio, a un paio di brani del profeta lsaia, paralleli tra loro. Da un lato c’è il breve ma intenso “canto di Sion” che il grande profeta, vissuto nell’VIII secolo a.C., ha lasciato nei primi cinque versetti del capitolo 2 della raccolta dei suoi oracoli.

D’altro lato, c’è il canto più ampio e disteso del capitolo 60, opera di un profeta anonimo — convenzionalmente chiamato dagli studiosi “il terzo Isaia” — vissuto almeno due secoli dopo e “imitatore” in questa pagina del famoso maestro.

Noi ora ci fermeremo sul primo di questi inni, un testo di bellezza essenziale e intensa. Al centro della scena si erge un monte che domina tutti gli altri perché è avvolto in una luce trascendentale. Sulla terra e sugli altri monti si stende come un sudario tenebroso. Da ogni angolo del mondo si sente un echeggiare di voci, un fremere di passi, una tensione improvvisa: tutti i popoli s’incamminano — come fecero quel giorno i Magi, partendo da Oriente — per salire su quella vena ove si erge un tempio e si proclama un messaggio.

Ormai stanno per raggiungere quel punto luminoso che è chiamato con un nome simbolico, “il monte del tempio del Signore”, e che per il profeta è il colle di Sion a Gerusalemme. Le genti hanno portato con sé anche le armi per difendersi dagli assalti di altri gruppi o di briganti. Ora i loro piedi calpestano quella terra santa e sentono la voce divina che li invita ad abbracciarsi.
Infatti, come dirà successivamente un altro profeta, Sofonia, il Signore dichiara: «Io darò ai popoli un labbro puro perché invochino tuffi il nome del Signore e lo servano tuffi spalla a spalla» (3,9).

Tutti uguali, dunque, davanti all’unico Dio. Ma le armi creano impaccio. Ecco, allora, la grande decisione: le spade vengono forgiate in vomeri, le lance sono trasformate in falci, si chiedono armenti invece di armamenti, gli eserciti sono aboliti. È un pellegrinaggio che ha, quindi, come meta la pace, il sogno sempre infranto, il vero desiderio dell’umanità sempre frustrato, la meta sempre rimossa. La religione dev’essere sorgente di pace e non di divisione, di armonia e non di odio. E Isaia si rivolge anche a te che forse sei rimasto ai bordi della strada: «Vieni, camminiamo nella luce del Signore!»