La fede dei martiri precristiani


Un bel morir tutta la vita onora», così cantava Francesco Petrarca in una delle sue “canzoni”. Ed era ancora lo stesso poeta nelle sue Familiari a dichiarare: «Affrontare lietamente la morte è segno di profondissima felicità; affrontarla tremando è segno di intima fragilità». Una lezione di questo genere ci viene offerta da una pagina di grande intensità, il capitolo 7 del secondo Libro dei Maccabei, un’opera non priva di enfasi e di passione destinata a esaltare le gesta di Giuda Maccabeo e dei suoi seguaci, che si ribellarono al potere siro-ellenistico dando il via a una vera e propria epopea nazionale (167-164 a.C.). All’eroe ebraico il grande musicista Georg F. Hàndel dedicò nel 1745 un oratorio intitolato appunto Giuda Maccabeo.

Ma nell’interno della narrazione, piena di pathos, delle gesta del protagonista, l’autore del secondo Libro dei Maccabei — che non è la continuazione ma la libera e autonoma ripresa dei temi del primo Libro — incastona alcuni episodi emblematici.
È il caso, ad esempio, del martirio di Eleazaro, uno scriba novantenne che rinunzia alla vita pur di non violare la tradizione di Israele (6,18.31). È il caso della madre di sette ligli che è al centro del brano a cui accennavamo. Essa resiste, come una presenza statuaria, di fronte alla crudeltà implacabile dell’oppressore, in una scena che sembra l’anticipazione delle infamie innominabili ed efferate del nazismo.

Il racconto appartiene al genere delle ‘Passioni dei martiri” e, proprio perché assomiglia alle analoghe descrizioni della fine dei martiri cristiani, ha fatto sì che anche queste giovani vittime entrassero nel calendario e nel culto cristiano.

Noi, però, vorremmo porre l’attenzione — in questa narrazione ritmata sulle torture e sulla morte di ciascuno dei sette fratelli, dal maggiore al più piccolo — su un messaggio che la madre eroica cerca di istillare nelle menti dei figli e che vorremmo riproporre: «Non so come siete apparsi nel mio grembo; non sono stata io a darvi spirito e vita, né ho formato le membra di ognuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che all’origine ha plasmato l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo spirito e vita» (7,22-23).

Su questa speranza nell’oltrevita si regge la costanza dei giovani martiri.
Così, il secondogenito reagisce al tiranno con queste parole: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna» (7,9). Similmente il quarto dichiara senza esitazione: «È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te la risurrezione non sarà per la vita» (7,14).
La stessa madre, uccisa per ultima, confesserà la sua speranza di fronte al martirio del più piccolo: «Non temere il carnefice — gli dirà—, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme coi tuoi fratelli nel giorno della misericordia» (7,29).
Ormai, dopo le esitazioni di alcuni scritti anticotestamentari, si levava luminosa anche in Israele la fede nella risurrezione e nell’eterna comunione del giusto con Dio e in Dio.