Signoria divina nella storia


La scena grandiosa dell’esodo di Israele dall’Egitto, che abbiamo considerato nelle due ultime settimane pasquali, ha al centro una raffigurazione divina tipica della Bibbia. Il Dio delle Sacre Scritture non è un imperatore impassibile relegato nei cieli tersi ma remoti del suo mistero trascendente. Egli interviene nella storia umana, schierandosi dalla parte delle vittime, agendo anche attraverso strumenti naturali e storici, che diventano così segni della sua presenza. Ebbene, noi ora vorremmo evocare alcune pagine bellissime dei profeti nelle quali in modo pittoresco si mostra la signoria divina anche sulle superpotenze politico-militari.

Esse si illudono di comportarsi come arbitre assolute della storia, mentre in realtà esiste un piano che le trascende per cui Dio può talora usarle come strumento della sua opera nella storia. Certo, non si cancella la libertà; e la ribellione, la violenza, l’ingiustizia, il peccato ne sono un’attestazione evidente. Tuttavia, talora il Signore irrompe nella storia e curiosamente, con un antropomorfismo audace, egli si presenta fischiando. Sì, Isaia immagina che Dio con un fischio possente convochi i due imperi di allora, l’Egitto e l’Assiria, quasi fossero due insetti molesti: «Il Signore farà un fischio alle mosche che volano sulla superficie dei canali di Egitto e alle api che vagolano in Assiria. Esse correranno e piomberanno tutte sulle valli segnate da burroni, nelle fessure delle rupi, su ogni pascolo e cespuglio» (7,18-19).

Al fischio del comandante supremo della storia si deve subito obbedire: «Il Signore lancerà un segnale a un popoio lontano, gli farà un fischio fino all’estremità della terra ed ecco quel popolo accorrere veloce e lieve» (Isaia 5,26). Altre volte Dio impugna la mazza ferrata per colpire. È il caso dell’Assiria che, sempre secondo Isaia, è scagliata contro Israele, «nazione empia», «popolo con cui sono in collera»: «Assiria, verga del mio furore, bastone del mio sdegno!» (10,5-6). Anzi, Babilonia agli occhi di un altro profeta, Geremia, diventa un martello che Dio afferra e cala sui popoli.

È appunto un passo "martellante" quello del profeta che vede l’irrompere di Babilonia anche su Israele: «Un martello sei stata per me, uno strumento bellico: con te martellavo i popoli, con te martellavo i regni, con te martellavo cavallo e cavaliere, con te martellavo
carro e carrista, con te martellavo uomo e donna, con te martellavo vecchio e ragazzo, con te martellavo giovane e fanciullo, con te martellavo pastore e gregge, con te martellavo l’aratore e la sua coppia di buoi, con te martellavo governatori e prefetti!» (Ger 5 1,20-23).

È, questo, un modo molto plastico per ricordare che non sono le superpotenze a decidere in ultima istanza il senso della storia.
Infatti, guai ai potenti che si iludono di essere arbitri del tutto autonomi dei destini estremi, dimenticando che anch’essi dipendono da un giudizio superiore. Contro l’Assiria che crede di trionfare «spostando confini nazionali e saccheggiando tesori con la forza della sua mano e con la sua sapienza», Isaia grida: «Può forse vantarsi la scure con chi la maneggia per tagliare e la sega montare in orgoglio contro chi la impugna? Sarebbe come se un bastone volesse brandire chi lo afferra e una verga sollevare chi non è fatto di legno!» (10,15).