Gli Apostoli e il potere di sciogliere e legare


La liturgia del 29 giugno ci presenta le figure dei due apostoli Pietro e Paolo che l’iconografia ha spesso rappresentato insieme, come nella famosa grande tela del pittore El Greco conservata nel Museo nazionale di Stoccolma. Noi fisseremo la nostra attenzione su un testo biblico capitale che ha spesso sollecitato anche l’interesse degli artisti: è il celebre passo di Matteo 16,13-20, che ha al centro una «beatitudine» riservata a Pietro. Essa suona così:

«Beato sei tu, Simone bar Jonà, perché carne e sangue non te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.
E io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa.
A te darò le chiavi del Regno dei cieli: ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (16,17-19).

Come raffigurazione della scena, ambientata nella città di Cesarea di Filippo, presso le sorgenti del Giordano e ai piedi del monte Hermon, immaginiaino I’affresco del Perugino sulla parete longitudinale della Cappella Sistina in Vaticano (1480-1483): in primo piano c’è Cristo che consegna a Pietro inginocchiato le due chiavi del potere di legare e sciogliere, mentre ai lati si formano due piccoli cortei di spettatori, cioè gli apostoli e altri personaggi nei quali il pittore ha abbozzato i volti deì suoi amici e colleghi.

Nella «beatitudine», che letterariamente rivela una forte impronta semitica, emergono tre simboli.
Il primo è quello della «pietra» o roccia, un simbolo classico nell’Antico Testamento per delineare Dio come sorgente di sicurezza e fiducia. Si giuoca in aramaico sulla parola kefa’ che, senza variazione di genere come accade invece in italiano, può significare sia «pietra» sia «Pietro» (sarà soprattutto Paolo nelle sue lettere a chiamare Pietro Kefa). Solo a Gesù e a Pietro si applica nel Nuovo Testamento l’immagine della pietra di fondazione primaria e trascendente di Cristo riguardo alla Chiesa.

Le «chiavi» sono il secondo simbolo e incarnano il potere su una casa, una città, un regno, nonché sull’interpretazione di un testo (la chiave di lettura): in Pietro, allora, si esercita — su mandato di Cristo — non solo un’autorità giuridica, ma anche di insegnamento all’interno della comunità. A questo simbolo si era richiamato anche lo scrittore inglese Archibald J. Cronin nel titolo di un suo fortunato romanzo, Le chiavi del regno (1942), dedicato alla missione sacerdotale.
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Il terzo simbolo è di stampo giuridico: il «legare e sciogliere» indica certamente il potere di perdonare i peccati nel nome del Signore (si legga Giovanni 20,19-23), ma abbraccia pure la funzione di esortare, ammonire, formare i fedeli, missione propria dell’autorità della Chiesa. Ci siamo affidati a raffigurazioni pittoriche per illustrare una pagina celebre e celebrata del Vangelo di Matteo.

In finale lasciamo idealmente negli occhi e nel ricordo dei nostri lettori la statua bronzea di san Pietro assiso in cattedrale con in mano le chiavi che Arnolfo da Cambio nel XII secolo ha approntato e che ancor oggi è solennemente presente nella basilica di San Pietro, col piede consumato dal bacio devoto dei fedeli.