L'Arcangelo Michele sconfigge Satana


Se non cadesse come quest’anno di domenica, il 29 settembre è la festa liturgica dei santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, figure ben note alle Scritture. Ad attribuire a questa data la celebrazione è il fatto che in questo giorno si commemorava la dedicazione della chiesa in onore di san Michele eretta sulla via Salaria a Roma nel V secolo. Ebbene, la figura di questo arcangelo ci permette di presentare un curioso e suggestivo scritto neotestamentario di solito poco menzionato, la Lettera di Giuda, nome di due apostoli (uno fu il traditore) e di un "fratello" di Gesù. È probabile, però, che l’autore sia in realtà un predicatore giudeo-cristiano anonimo, che si è riferito a uno di questi due personaggi come a maestro e ad "autorità”.

Ora, l’elemento forse più strano di questo testo neotestamentario, che è come un breve messaggio (25 versetti in tutto), è l’uso, accanto all’Antico Testamento, di scritti apocrifi, in particolare il popolare e importante Libro di Enoch («Profetò Enoch, settimo dopo Adamo...», vedi versetti 14-15). Ma il nostro predicatore cita anche un altro apocrifo, L’assunzione di Mose, e qui entra in scena Michele: «L’arcangelo Michele, quando — contendendo col diavolo — disputava per avere il corpo di Mosè, non ardì accusarlo con parole offensive, ma disse soltanto: Ti condanni il Signore!» (versetto 9).

In quell’apocrifo, infatti, si immaginava una lotta tra Satana e Michele — l’angelo che nel libro del profeta Daniele (10,13) difende la causa di Dio e del suo popolo — per ottenere il cadavere di Mosè: bastò un semplice ordine a strappare al diavolo il corpo santo della guida di Israele nel deserto. Ma Giuda combatte contro una più attuale pretesa demoniaca, quella dei falsi maestri che s’infìltrarono nella comunità cristiana. Gli epiteti che riserva loro sono coloriti (tra l’altro, l’autore scrive in un buon greco): empi e dissoluti, impuri, ribelli, infami, sobillatori, svergognati, adulatori, superbi, impostori.

Basterebbe solo leggere questo brano vivacissimo e fin pittoresco: «Essi sono la sozzura dei vostri banchetti ove siedono a mensa senza vergogna, pascendo sé stessi; sono come nubi senza pioggia spazzate via dai venti, alberi di fine stagione privi di frutti, due volte morti e sradicati, onde selvagge del mare che schiumano le loro infamie, astri erranti ai quali è destinata la caligine della tenebra eterna» (versetti 12-13).

La Lettera di Giuda (che, se fosse l’apostolo, forse aveva il secondo nome o il soprannome di Taddeo, dato che così lo citano Marco 3,18 e Matteo 10,3) è, allora, un monito severo e brillante al tempo stesso contro una piaga costante della cristianità, quella delle degenerazioni religiose, capaci di far impallidire «la fede santissima» e di disgregare «l’edificio spirituale» della Chiesa (versetto 20).
Il filosofo inglese del’600 David Hume ricordava che «gli errori dei filosofi sono ridicoli, ma quelli della religione sono sempre pericolosi».