Il Re generoso e il servo spietato.
 
 
Siamo ormai in Quaresima inoltrata. Vorremmo proporre uno degli impegni tipici del cristiano per questo periodo, impegno però costante anche per il resto dell’esistenza cristiana, il perdono. Naturalmente lo facciamo ricorrendo a una pagina “bella” del Vangelo, una delle 35 deliziose parabole che costellano gli scritti evangelici.
Ricorreremo a un racconto presente solo in Matteo (18,2 1-35), incorniciato da un botta e risposta tra Gesù e Pietro.
Quest’ultimo chiede al maestro se deve perdonare fino a «sette volte», cioè con grande generosità, essendo il sette un numero “pieno”, secondo la simbolica semitica delle cifre.

Cristo replica correggendo il numero in «settanta volte sette», che in quell’aritmetica mistica non corrisponde a 490 ma a un numero illimitato. È noto che Gesù con questa cifra vuole, per contrasto, ammiccare alla legge efferata della vendetta promulgata dal nipote di Caino, Lamek, che ricorre a un numero analogo: «Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamek settantasette» (Genesi 4,24). Ma, come spesso accade, Gesù illustra il suo messaggio con una parabola, quella del re generoso e del servo spietato.

La vogliamo trascrivere in modo narrativo elementare, così che genitori e insegnanti possano riproporla ai loro ragazzi.
C’era un re che un giorno decise di calcolare i debiti che i suoi sudditi avevano nei suoi confronti.
Con grande meraviglia scoprì che uno dei suoi dipendenti aveva continuato a ricevere i soldi in prestito fino a raggiungere l’enorme cifra di cento milioni di euro. In realtà nel Vangelo di Matteo c’è un’altra cifra, perché allora non si parlava né di euro né di milioni o miliardi, ma di “talenti” Ebbene, il debito accumulato da quell’uomo, dice Gesù, era di «diecimila talenti».
Perché non si conosce con esattezza il valore di "Talento" rispetto all’euro, abbiamo preferito usare un’enorme somma dei nostri giorni, anche se quella di Gesù poteva forse essere persino maggiore.

Quel disgraziato ovviamente non era in grado di pagare il debito. Il re decise, allora, di vendere in schiavitù lui e la sua famiglia. Ma quel poveretto, disperato, riuscì a trovare parole e lacrime capaci di impietosire il re. Costui, che era buono e generoso, decise non solo di non gettarlo in prigione, ma anche di condonargli il debito. Uscito dalla sala del trono, sceso in cortile, ecco venirgli incontro un collega che gli doveva cento euro: Gesù dice «cento denari», l’equivalente di un paio di stipendi di un operaio di allora.

Ma quel servo non vuole neppure ascoltare le scuse del collega. Lo afferra alla gola e, quasi strangolandolo, gli urla: «Pagami subito il tuo debito!». E non ricevendo soddisfazione, lo denuncia al tribunale e lo fa scaraventare in carcere. Il resto della storia ora lo potrete raccontare voi genitori. A me preme marcare la lezione finale, che altro non è se non una variante di un’invocazione del Padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Lezione che Gesù ripete oltre che nel nostro passo (18,35) anche in Matteo 6,l2 e Luca 23,34: andate a rileggere questi testi nei Vangeli per insegnarli, ma, prima, per praticarli.